A 195 anni dalla morte di Jane Austen, la storia di una grande donna, ma soprattutto di una grande scrittrice





Ho un enorme debito di riconoscenza nei confronti di Jane Austen. E' grazie a lei se il blando interesse che nutrivo per i libri si è trasformato in una vera e propria passione. Fu a 15 anni che lessi per la prima volta Orgoglio e pregiudizio; nonostante la mia inesperienza, non ci misi molto a capire che mi trovavo di fronte a una grande scrittrice. Una spennellata di ironia, un pizzico di dramma, un tocco di cinismo, e poi l'amore, che Jane visse e conobbe attraverso i suoi personaggi... questo è tutto ciò che serviva a Jane Austen per essere quella che era, ossia una grande conoscitrice di anime. Ma soprattutto, credo che lei fosse una persona speciale, e i suoi romanzi lo dimostrano. Ieri, 18 agosto 2012, era il 195esimo anniversario della sua morte. Ma Jane... lei si che sa cosa significhi essere immortale, perché milioni di lettori in tutto il mondo continuano a leggere i suoi libri e a emozionarsi, a sfogliare le pagine con bramosia, ansiosi di saperne di più. 
Per ricordarla ho deciso di riportarvi un nontroppobreve saggio di W.Somerset sulla vita e sui romanzi di una delle scrittrici più apprezzate di sempre. 




DA UNO SCRITTO DI W.SOMERSET MAUGHAM 
IN MEMORIA DI UNA GRANDE SCRITTRICE
E DI UNA GRANDE DONNA




Gli eventi della vita di Jane Austen possono essere riportati brevemente. Gli Austen erano una antica famiglia le cui fortune, come per la maggior parte delle grandi famiglie d'Inghilterra, erano dovute al commercio della lana, all'epoca la principale risorsa del paese; raggiunta la ricchezza, come altre più importanti famiglie, comprarono della terra, entrando così nella schiera della nobiltà inglese. 
Jane nacque nel 1755 a Steventon, un villaggio dell'Hampshire nel quale suo padre, il reverendo George Austen, era rettore di parrocchia. Era la più giovane di sette figli. Quando ebbe sedici anni, il padre si dimise dal proprio incarico e, con le due figlie Cassandra e Jane, dato che i figli maschi vivevano già per conto loro, si trasferì a Bath. Morì nel 1805; la vedova e le figlie si trasferirono allora a Southampton. Non molto tempo dopo uno dei figli, Edward, ereditò dei possedimenti nel Kent e nell'Hampshire, e offrì alla madre un cottage in ciascuna di queste due regioni. Scelse Chawton nell'Hampshire; era il 1809 e lì, a eccezione di qualche visita da parte di parenti e amici, Jane rimase fino a che le cattive condizioni di salute non la obbligarono a spostarsi a Winchester, per mettersi nelle mani di dottori migliori di quelli che si trovavano nel villaggio. Morì a Winchester e fu seppellita nella cattedrale. 
Si dice che fosse una persona molto affascinante: <<Era alta e sottile, con passo leggero e deciso, e la sua intera figura esprimeva salute e vivacità. Aveva una chiara carnagione da ragazza bruna, di un bel colore; zigomi ben pronunciati e naso e bocca piccoli e ben disegnati, vivi occhi color nocciola e capelli castani che ne incorniciavano il viso con riccioli naturali.>>
L'unico suo ritratto che io abbia mai visto mostra una ragazza dalla facca piena e dai tratti mediocri, grandi occhi tondi e un busto ingombrante; ma può darsi che l'artista non le abbia reso giustizia. 
Possedeva un raro e acuto senso dell'umorismo, e dato che ella afferma che la sua conversazione era in tutto analoga alle lettere e le lettere sono ricche di osservazioni spiritose, ironiche e pungenti, è impossibile dubitare che la sua conversazione fosse brillante. 
La maggior parte delle sue lettere ancora disponibili erano indirizzate alla sorella Cassandra. Le era molto legata. Durante tutta la gioventù e la maturità furono sempre insieme, e di certo condivisero la stanza da letto fino alla morte di Jane. Quando Cassandra fu mandata a scuola, Jane la seguì, dato che, benché fosse troppo giovane per ricevere il tipo di istruzione impartita da un seminario, si sarebbe sentita perduta senza la sorella.
<<Se Cassandra avesse dovuto farsi rasare i capelli>> disse la madre <<Jane avrebbe insistito per condividere con lei la stessa sorte>>. Cassandra era più bella di Jane, di carattere più freddo e più posato, meno espansiva e di natura meno solare; aveva il merito <<di saper sempre tenere sotto controllo il proprio carattere, ma Jane aveva la fortuna di avere un carattere che non doveva essere mai tenuto sotto controllo>>. 
Molti fra i più accesi ammiratori di Jane Austen sono rimasti delusi leggendo le sue lettere, ritenendo che esse mostrino quanto ella fosse fredda e distaccata e quanto banali fossero i suoi interessi. 
Ne sono rimasto sorpreso. Io le trovo molto naturali.

Jane Austen pensava che non le avrebbe lette nessun altro all'infuori di Cassandra e raccontava alla sorella esattamente quel tipo di cose che sapeva le sarebbero interessate. Le raccontava come la gente si vestisse e quanto aveva pagato la mussola a fiori che aveva appena comprato, quali conoscenze avesse fatto, quali vecchi amici avesse incontrato e quali pettegolezzi avesse udito. Negli ultimi anni, molte collezioni di lettere di eminenti scrittori sono state pubblicate e, da parte mia, quando le leggo sono spesso portato a pensare che i loro autori le abbiano scritte tenendo presente, in un angolo della loro mente, che un giorno avrebbero potuto essere pubblicate. Non raramente ne ricavo l'impressione che le si sarebbe potute usare, come infatti fu, sulle colonne di una rivista letteraria. A quei tempi le persone erano più pazienti: in ogni caso, doveva essere una delusione ricevere la lettera di un amico che descriveva montagne e monumenti quando si desiderava sapere se aveva conosciuto qualcuno di interessante, a quali feste aveva partecipato e e se era riuscito a procurarsi i libri o le cravatte o i fazzoletti che gli si era chiesto di riportare. 

Jane Austen non scrisse una sola lettera che non contenesse una risata o un sorriso, e per il diletto del lettore darò qualche esempio del suo stile. Rimpiango solo di non avere più spazio. 






Jane Austen era amante dei balli. Ecco alcuni commenti legati ai ricevimenti a cui partecipò:





[...] Jane aveva una lingua tagliente e un prodigioso senso dell'umorismo. Amava ridere e amava far ridere. E' chiedere troppo a un umorista aspettarsi che lui, o lei, quando pensa qualcosa di buono, lo tenga per sé. E, lo sa il cielo, è difficile essere divertenti senza essere, a volte, un poco maliziosi. Non c'è molto di eccitante nel latte della benevolenza. Jane aveva un acuto senso dell'assurdità degli altri, della loro pretenziosità, delle loro affettazioni e della loro insincerità; solo per proprio merito ella ne veniva divertita e non annoiata. Era troppo educata per dire alle persone cose che le avrebbero ferite, ma certo non vide alcun male nel divertirsi con Cassandra a loro spese. Non vedo una natura malevola nemmeno nella più pungente e arguta delle sue osservazioni; il suo umorismo si basava, come sempre dovrebbe essere, sull'osservazione meticolosa e sulla franchezza. 

Tutto ciò mi porta a quello che è ovviamente il punto più importante riguardo a Jane Austen: i libri che scrisse. Cominciò a scrivere molto giovane. In punto di morte, a Winchester, scrisse un messaggio a una nipote che cominciava a scrivere, raccomandandole di seguire il suo consiglio di smettere fino a che non avesse compiuto sedici anni e affermando di aver spesso rimpianto di non aver letto di più e scritto di meno negli stessi anni (quelli tra i dodici e i sedici) della sua vita. Al tempo, scrivere libri non era segno di grande femminilità. Il monaco Lewis scrisse:




<<Ho avversione, pena e disprezzo per tutte le donne con velleità da scribacchine. L'ago, non a penna, è lo strumento che dovrebbero tenere in mano e l'unico che sappiano davvero usare con destrezza.>>


Il romanzo era un genere che godeva di pochissima stima e la stessa Jane Austen fu non poco sorpresa nello scoprire che Sir Walter Scott, un poeta, scrivesse romanzi. Si preoccupava <<che la sua occupazione non venisse intuita dai domestici, visitatori o da chiunque non fosse di famiglia. Scriveva su piccoli fogli che poteva rapidamente ritirare, o coprire con un pezzo di carta assorbente. Tra la porta d'ingresso e gli studi, c'era una porta a ventola che cigolava ogni volta che veniva aperta; ella si oppose alla riparazione del piccolo inconveniente, poché costituiva, per lei, un segnale d'avviso dell'arrivo di qualcuno>>. 

Suo fratello maggiore, James, non disse mai a suo figlio, che allora andava ancora a scuola, che i libri che leggeva con tanto pacere erano di sua zia Jane; e un altro fratello, Henry, afferma nelle sue memorie

Nessuna promessa di fama l'avrebbe mai convinta, da viva, ad associare il suo nome ad alcun prodotto della sua penna. 


Così, il suo primo libro pubblicato, Senso e sensibilità, portava in copertina la sola nota <<Scritto da una signora>>. 
Non era il primo libro che aveva scritto. Il suo primo romanzo fu Prime impressioni. Suo fratello, George Austen, scrisse a un editore, offrendogli per la pubblicazione, anche a spese dell'autore o in altro modo, un <<romanzo manoscritto, in tre volumi, più o meno della lunghezza di Evelina, della signorina Burney>>. 
L'offerta venne rifiutata in una lettera di risposta. 
Prime impressioni fu cominciato nell'inverno del 1796 e ultimato nell'agosto del 1979; si ritiene che fosse sostanzialmente lo stesso libro pubblicato sedici anni dopo con il titolo Orgoglio e pregiudizio. Poi, in rapida successione, J. Austen scrisse Senso e sensibilità e Northanger Abbey, ma non ebbe, con essi, maggior fortuna; solo dopo cinque anni un certo sognor Richard Crosbie comprò il secondo, allora intitolato Susan, per dieci sterline. Non lo pubblicò mai e finì per rivenderlo allo stesso prezzo che lo aveva pagato. Dato che i romanzi della signorina Austen erano stati pubblicato anonimi, non poteva in alcun modo immaginare che il romanzo che si era accaparrato per una somma tanto misera era dell'acclamata e popolare autrice di Orgoglio e pregiudizio. 
[...]
E' difficile decidere quale sia il suo miglior romanzo, dato che tutti sono di grande valore e tutti hanno i loro devoti, persino fanatici, ammiratori. Macaulay pensava che Mansfiel park fosse il suo lavoro migliore; altri critici, egualmente illustri, hanno preferito Emma; Disraeli lesse Orgoglio e pregiudizio diciassette volte, oggi molti guardano a Persuasione come alla sua opera più squisita e raffinata. La maggior parte dei lettori, credo, ha accettato Orgoglio e pregiudizio come il suo capolavoro e, in questo caso, penso sia giusto accettarne il giudizio. 
Ciò che rende tale un classico non è il fatto che venga acclamato dai critici, analizzato dai professori, studiato nei corsi universitari, ma che i lettori, una generazione dopo l'altra, vi traggano piacere e giovamento spirituale. 
Io ritengo, per quello che vale il mio giudizio, che Orgoglio e pregiudizio sia, nel complesso, il romanzo più soddisfacente. 
Emma mi irrita per lo snobismo della sua protagonista, la quale è davvero troppo accondiscendente nei confronti delle persone che vede come socialmente inferiori; e non riesco ad avere nessun particolare interesse nelle vicende di Frank Churchill e Jane Fairfax. E' l'unico romanzo della signorina Austen che trovo prolisso. In Mansfield Park l'eroe e l'eroina Fanny e Edmund sono intollerabili moralisti e tutte le mie simpatie finiscono per i senza scrupoli, allegri e affascinanti Henry e Mary Crawford. 
Persuasione ha un fascino raro e se non fosse per la vicenda del Cobb a Lyme Regis sarei portato a ritenerlo il più perfetto di tutti. 
Jane Austen non aveva particolare talento per inventare le vicende di un personaggio inusuale e questo mi pare un espediente davvero rozzo. Louisa Musgrove si trova in cima ad alcuni ripidi gradini e viene aiutata a <<saltare giù>> dal capitano Wentworth, suo ammiratore. Lui la manca, lei cade e perde i sensi. Se lui le stava tendendo le mani, dato che, secondo quanto ci viene detto, egli aveva l'abitudine di prenderla mentre lei saltava, lei non poteva essere più alta di un paio di metri ed è dunque impossibile che potesse cadere sulla testa. In ogni caso, sarebbe caduta sul robusto marinaio e, per quanto scossa e impaurita, difficilmente si sarebbe fatta male. 
Comunque, perde semplicemente conoscenza e tutto il trambusto che ne segue è poco credibile. Tutti perdono la testa. Il capitano Wentworth, un uomo d'azione che ha costruito la propria fortuna con i premi in denaro, resta paralizzato dall'orrore. Il successivo comportamento di tutti i personaggi è talmente ebete che stento a credere che la signorina Austen, capace di prendere la malattia e la morte di amici e conoscenti con considerabile forza d'animo, non ritenesse la loro condotta esagerata. 

Il professor Garrod, un colto e acuto critico, ha asserito che J. Austen non era in grado di scrivere una storia, intendendo con questo termine, ha spiegato, una successione di avvenimenti, romantici o insoliti. Ma non era questo il talento di Jane Austen, e non era questo ciò che tentava di fare. Aveva troppo buonsenso e troppo ispirato umorismo per essere romantica e non aveva interesse per gli eventi poco comuni, ne aveva piuttosto per quelli assolutamente comuni. Li rese insoliti grazie all'acume delle sue osservazioni, alla sua ironia, al suo spirito divertito. 
[...]
Non ho ancora detto nulla su quello che secondo me è il più grande merito di Jane Austen: i suoi libri sono incredibilmente leggibili, più leggibili di alcuni dei più grandi e famosi romanzi.  Come disse Scott, la signorina Austen è attenta alle cose comuni, i coinvolgimenti, i sentimenti e i personaggi della vita ordinaria; nulla succede davvero, eppure, non appena si arriva al fondo della pagina, la si volta con impazienza per sapere cosa succederà dopo; nulla ancora accade, eppure si volta nuovamente la pagina, con la stessa impazienza. 
La capacità di provocare questa impazienza è il più grande dono che un narratore possa avere e io mi sono spesso chiesto cosa la provochi. Come mai anche quando si è letto il romanzo, più e più volte, l'interesse non cala mai? Penso che per Jane Austen ciò sia dovuto al fatto che ella era immensamente interessata ai propri personaggi e alle loro vicende, e al fatto che credeva in essi profondamente. 


(Dalla postfazione di Orgoglio e pregiudizio, ed Mondadori)




1 commento:

  1. Grazie di aver condiviso questa postfazione! E' molto interessante e mi è davvero utile per il mio studio! Grazie.

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