Nel 1944, a sedici anni, Magda Hollander-Lafon, ebrea ungherese, fu deportata ad Auschwitz-Birkenau con la madre e la sorella, decedute in quel lager nei primi giorni di reclusione. Magda sarà l'unica della sua famiglia a sopravvivere alla Soluzione finale: il padre, scoprirà poi, all'epoca della sua deportazione era già morto nel ghetto di Nyiregyháza, in Ungheria. "Dalle tenebre alla gioia" è una profonda testimonianza sulla Shoah ma anche e soprattutto una meditazione sulla vita. Strappate a quell'esperienza di morte, le parole di Magda sono il frutto di una lunga traversata, costellata di rinascite: i quattro pezzetti di pane ricevuti da una donna in fin di vita nel campo, perché possa sopravvivere e raccontare l'inferno, le gocce d'acqua offerte dalle compagne quando è ormai allo stremo, il movimento delle nuvole nel cielo di Auschwitz, che le fiamme del crematorio hanno smesso per un momento di oscurare, o ancora il sorriso di una donna sconosciuta che la accoglie all'uscita dall'universo concentrazionario. E poi l'aiuto del "buon custode", un guardiano che, a rischio della sua stessa vita, le riscalda i piedi congelati donandole un paio di zoccoli: "Quando se n'è andato sono riuscita di nuovo a piangere e a sperare nella bontà degli uomini". Nel suo ricordo, qua e là emergono anche le figure peggiori, come la kapò del Block 8: "Ho impiegato trent'anni per riuscire a ricordare il volto di Edwige. La primavera è tornata nel mio cuore, perché posso parlare di lei…"
Migliaia di sguardi scomparsi
Senza sapere perché. Mi chiamano
Sono pieni di sconforto
Di umiliazione
Accesi dalla fame
Spenti dalla sete.
Più che un memoriale, Dalle tenebre alla gioia è una raccolta di pensieri sciolti, di riflessioni sull'importanza della vita ma soprattutto su quanto sia fondamentale, per l'uomo, credere che dopo la morte ci sia qualcosa - o qualcuno - ad aspettarci.
Il libro di Magda Hollander-Lafon, lungi dall'essere una cronaca lucida, asettica e vagamente sgomenta degli orrori dell'olocausto (cronaca più pertinente ad autori del calibro di Levi, il cui stile si presta con maggior facilità a scritti in grado di "scuotere le coscienze", se vogliamo metterla in termini poetici), è un cammino verso l'accettazione del fatto che l'uomo ha anche un lato oscuro capace di spingerlo a commettere le azioni più inique (con la complicità di quanti, intorno a lui, assistono in silenzio, anestetizzandosi ad atti di umana carità).
Lo sguardo esasperato di una compagna con le zanne di un cane nella carne. Perde la vita a ogni passo. Lo sguardo annientato di un'altra che muore sotto i colpi di un bastone.
Lo stile di Magda Hollander-Lafon è molto sentimentale, a volte persino immaturo, ridondante. Ma a me questo non importa. Non m'importa perché questo libro di appena 132 pagine è un cammino personale in cui l'autrice cerca, con l'ausilio della parola scritta, di giungere a patti con ciò che è stato e che non dovrà mai più ripetersi. Un abominio che le nuove generazioni studiano sui libri di storia, percependo l'orrore della Shoah come qualcosa di estremamente distante, mentre in realtà la pianificazione dello sterminio degli ebrei è avvenuta in un'epoca non molto lontana dalla nostra -un'epoca in cui i principi dell'illuminismo si erano affermati da un pezzo, in cui il progresso, la tecnologia e i valori universali su cui si fondano le società moderne non erano più un mero ideale.
Il mondo è un posto pericoloso in cui vivere! Non a causa di coloro che fanno del male, ma a causa di coloro che guardano e lasciano fare. Albert Einstein.
Magda Hollander-Lafon cerca, scrivendo questo libro, non solo di metabolizzare quanto le è accaduto, ma anche di recuperare la fiducia nei confronti dell'umanità e nella bontà intrinseca nell'uomo… bontà che molti mettono in discussione ma che, sostiene l'autrice, è presente in ognuno di noi: la vediamo ogni giorno in una serie di gesti che a noi sembrano insignificanti ma che, per chi ha vissuto una simile esperienza, appaiono di un valore gigantesco e fondamentale.
Magda viene a patti non solo con se stessa: uno dei percorsi tracciati in questo libro riguarda la capacità di perdonare da parte di una donna perseguitata, maltrattata, calpestata nei suoi diritti e nella sua dignità di essere umano. Perché Magda alla fine perdona. E' ancora sgomenta, non riesce a credere che sia davvero successo… la notte sogna ancora il fumo grigio, pesante delle camere a gas e la kapò che le dice, con agghiacciante noncuranza, che i suoi genitori sono ormai parte di quel fumo. Ma alla fine ce l'ha fatta, a perdonare, e ha scritto questo libro proprio perché il suo intento, lungi dal diffondere l'ennesima denuncia a danno dei crimini commessi nei campi di concentramento, consiste nel veicolare al mondo il messaggio opposto -messaggio che si può riassumere in queste poche, commoventi righe:
" Molto tempo dopo il mio ritorno ho scrutato i volti.
Ho interrogato i cuori.
Ho valutato le persone in base al loro carico di bontà:
Chi ci avrebbe aiutati a camminare?
Chi avrebbe condiviso il proprio pane?
Ero ansiosa di leggere la bontà sul volto dei vivi"
E alla fine Magda ce la fa a riconciliarsi con la bontà, l'altruismo, gli atti di pietà che l'attendono fuori dall'incubo dei campi di concentramento. Ci metterà anni a capirlo, ma giungerà presto alla conclusione che un gesto buono vale molto più di qualsiasi carico di cattiveria sia stata costretta a subire in gioventù. Ecco perché, nonostante le evidenti pecche stilistiche, ho apprezzato questo libro: è il suo messaggio di speranza, redenzione e perdono a conquistare il lettore, con molta più efficacia di quanto un anonimo libro di storia potrà mai fare.
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Questi libri, anche se non sono eccezionali...lasciano il segno per ciò di cui parlano :( Volevo chiederti se hai un banner da mettere nel mio blog nella sezione "Blog amici" :D Mi auguro di sì :D
RispondiEliminaCiao! Ancora purtroppo devo creare un banner, ma non appena riuscirò a farlo (in queste cose sono un po' impedita, sigh ç___ç) te lo farò sapere. Intanto puoi darmi il tuo, lo inserirò nel mio blog :)
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