L-e reader di sabbia: Il Kindle e il conflitto tra consumatore e lettore


“Posso mostrarle un libro sacro che forse interesserà un uomo come lei” 
 Jorge Luis Borges, “Il Libro di Sabbia”



Di Mark O' Connell


1.
Come molti amanti della lettura, mi trovo nella condizione contraddittoria di chi possiede un numero di libri al contempo eccessivo e insufficiente. Probabilmente non ne ho molti di più della media dei lettori della mia età ma, vivendo in un appartamento piuttosto piccolo, spesso lo percepisco come sovraffollato di libri, in modo pericoloso e quasi maniacale. Un traballante obelisco di edizioni economiche lette solo in parte torreggia dal mio comodino, ricoperto da un velo di polvere. Su tutti gli scaffali ci sono libri in doppia fila, disposti come pezzi del Tetris per ottimizzare al massimo lo spazio; e praticamente su qualsiasi superficie orizzontale è presente un qualche tipo di materiale da lettura. Non mi avvicino nemmeno ad aver letto tutti questi libri (per molti neanche ci ho provato seriamente), ma questo non mi impedisce di continuare ad accumularli a un ritmo insostenibile, in termini economici e di spazio vitale.
Succede che questo sia fonte di qualche tensione tra me e e mia moglie. Anche lei è una lettrice, anche lei ama vivere in una casa piena di libri, ma non le dispiacerebbe avere spazio anche per tutti gli altri oggetti necessari a fare sì che una casa sembri, appunto, una casa, anziché una rivendita di libri usati lasciata a se stessa. Ogni volta che varco la soglia con un paio di nuovi acquisti, o apro con circospezione una busta gommata di Amazon, so di stare compiendo un piccolo atto di colonizzazione domestica, rivendicando qualche altra decina di centimetri di spazio nel nome della pagina stampata, nell’eterna lotta tra Lesensraum e Lebensraum.
La situazione è andata sempre più deteriorandosi, di anno in anno, senza segni di possibile miglioramento. Poi un amico mi ha fatto dono di un Kindle*, lasciando intendere con una certa malizia che, almeno in parte, si trattava di una forma benevola di intervention in relazione ai miei problemi di spazio. Non sono certo che, lasciato a me stesso, avrei necessariamente acquistato un e-reader. Sono più o meno il bibliofilo tipo, nel senso che ho sempre amato i libri per le loro caratteristiche fisiche oltreché intellettuali. Amo il modo in cui un’edizione economica ben fatta ti si spalanca in mano con un rumore sonoro, lo schiocco deciso e autoritario delle pagine quando la si chiude. Apprezzo la sensazione che trasmette un’edizione in brossura, la sua solidità e autosufficienza, il suo peso discreto, il sussurrante scricchiolare della costa che si distende. Amo anche l’odore, dei libri: quello penetrante, vagamente chimico, dei libri nuovi, la fragranza morbida e legnosa dei libri vecchi (se vi state immaginando il sottoscritto rannicchiato in un angolo della libreria più vicina, tipo matto del quartiere, il naso affondato in una versione di Pale Fire, potete anche fermarvi subito: è una droga d’occasione, non qualcosa di cui vado alla ricerca con intensità da monomaniaco).
Quel che voglio dire è che, come molti altri, apprezzo il libro anche come oggetto in sé. Nonostante le difficoltà che possono derivare dal loro accumulo, amo il fatto che i libri occupino spazio fisico, oltre che mentale. In effetti, nutro segretamente la speranza impossibile che e-book ed e-reader si dimostrino un capriccio passeggero, e che tutti magicamente finiranno per dimenticarsi del fatto che libri sono ingombranti, e relativamente costosi, e non una scelta particolarmente valida per l’ambiente; e che che è possibile sostituirli facilmente con insiemi di dati elettronici, trasferibili in pochi secondi da un luogo all’altro senza occupare spazio fisico. Non volevo che succedesse ai libri quel che è successo ai CD. Ma poi ho estratto dalla sua confezione questo piccolo rettangolo di plastica grigia, morbidamente funzionale, e l’ho acceso. In pochi minuti, stavo iniziando a comprenderne l’incredibile potenziale. in brevissimo tempo avevo scaricato una piccola biblioteca di classici gratuti fuori copyright. Vorrà pur dire qualcosa, la possibilità di andarsene in giro con l’opera omnia di Tolstoy senza temere il pubblico ludibrio, o di fratturarsi una vertebra. E, naturalmente, vorrà dire qualcosa anche il fatto di avere accesso immediato a un magazzino di titoli ampio e intangibile da cui decidere di acquistare qualcosa e iniziare a leggerlo immediatamente, secondo l’umore del momento. Ho realizzato che il Kindle avrebbe ispirato a Borges trepidazione e orrore in ugual misura. In effetti, bizzarramente, in qualche modo è stato lui a inventarlo (così come Leonardo ha “inventato” l’elicottero e vari altri oggetti del genere).

2.
All’inizio del racconto “Il Libro di sabbia,” l’anonimo narratore/bibliofilo (come Borges, ex-bibliotecario in pensione della Biblioteca nazionale argentina), sente bussare alla porta del suo appartamento. Sulla soglia trova un venditore scozzese di Bibbie porta a porta. Quando il narratore lo informa, con una certa supponenza, di possedere già un numero più che sufficiente di Bibbie, grazie tante, e perdipiù in edizioni piuttosto rare, l’altro replica di essere in possesso di un bizzarro volume, acquistato a Bombay, per poche rupie e una Bibbia, da un intoccabile analfabeta (veniamo a sapere che “la gente non poteva nemmeno calpestare la sua ombra senza venirne contaminata”). Egli mostra questo volume in ottavo, rilegato in tela, al narratore che, esaminandolo, rimane sorpreso dalla “sua inusuale pesantezza”. Il venditore di Bibbie riferisce che l’analfabeta da cui ha acquistato il volume “mi disse che è chiamato “Il libro di sabbia” perché, come la sabbia, non ha inizio nè fine”. Quando il narratore tenta di individuarne la prima pagina, si rende subito conto che si tratta di un’impresa impossibile: è come se la pagine “sbocciassero dal libro stesso”. Lo stesso vale per l’ultima, e il narratore non può che balbettare la sua incredulità di fronte all’oggetto impossibile che tiene tra le mani:
“Non può essere, eppure è,” disse il venditore di Bibbie, la voce flebile che era poco più di un sussurro. “Le pagine di questo libro sono letteralmente infinite. Nessuna prima pagina; nessuna ultima pagina”.
Rendendosi conto di doverne entrare in possesso, il narratore offre in cambio del libro la sua intera pensione e una rara edizione della Bibbia di Wyclif (ripetendo così il precedente, simbolico scambio, realizzato dal venditore, tra Sacra Scrittura e questo testo impossibile, che sembra al contempo racchiudere e bestemmiare l’ordine naturale e divino). Entrato in possesso del Libro di sabbia, trascorre i propri giorni contemplandone i misteri e abbuffandosi alla sua fonte inesauribile di parole. Non ci vuole molto prima che si renda conto che il libro è in sé “mostruoso”, e che possederlo, come esserne posseduto, in qualche misura lo ha reso altrettanto mostruoso. “Lo sentivo come un oggetto da incubo,” ci dice, “un’oscenità, capace di contaminare e corrompere la realtà”. Valuta di darlo alle fiamme, ma teme che “il bruciare di un libro infinito potrebbe, allo stesso modo, non avere fine, e soffocare nel fumo l’intero pianeta”. Infine decide che “il luogo ideale dove nascondere una foglia è una foresta”, e la conclusione della storia lo vede abbandonare il Libro di sabbia su una mensola carica di vecchie riviste, nell’umidità del seminterrato di una vecchia biblioteca, facendo attenzione a non prendere nota della sua posizione, in modo che sia davvero perduto, per lui e, così spera, per il mondo intero.
Adoro il mio Kindle. Per i motivi detti sopra, penso che sia un aggeggio geniale. Ma nei miei momenti più istericamente Borgesiani, penso anche che abbia qualcosa di osceno, e che corrompa una realtà che non voglio vedere contaminata e corrotta. È un oggettino, in realtà, ancora più piccolo dell’edizione economica Penguin Classics del Libro di sabbia. Eppure, il numero di pagine che racchiude è, se non proprio “letteralmente infinito”, almeno potenzialmente tale. Nessuna prima pagina; nessuna ultima pagina. Se lo piazzo su una delle mie mensole, se magari lo faccio scivolare tra due volumi di racconti di Borges, pieni di orecchie e di segni, se ne sta lì zitto zitto, più sottile di tutti i libri che lo circondano. Eppure ha il potenziale arcano per mutare di forma e racchiuderli tutti, per inglobarli singolarmente e nel loro complesso. Senza dare nell’occhio, fa sembrare tutti gli altri libri d’improvviso non più necessari, superflui, e li perseguita, quasi, con il fantasma della loro imminente ridondanza. È un’elegante coincidenza che i microprocessori che rendono possibile questa misteriosa magia siano fatti di silicio, estratto dalla silice, contenuta nella sabbia. Il Kindle è pertanto, in senso bizzarramente letterale, un libro di sabbia.
Ciò che (credo) del Libro di sabbia dava i brividi a Borges è il modo in cui, come l’Alef del racconto omonimo, racchiude paradossalmente l’infinito in uno spazio finito. Come molti oggetti misteriosi descritti nelle sue opere, esso esercita sulla realtà una pressione terribile, che la trasforma. E il Kindle esercita una sua propria pressione trasformativa, anche se in modo più banale. Non voglio dire che gli e-reader mi facciano paura, non è così. Non sono più mostruosi o malvagi di qualsiasi altro esempio di nuova tecnologia che ne sostituisce una precedente (e anche il libro è tecnologia: un gadget fatto di colla, carta, e inchiostro). Ma il loro ascendente mi ispira una vaga tristezza, perché so che, quando uso il mio Kindle, anche se ci sono ambiti più significativi in cui non può nemmeno sperare di competere con la più grande invenzione della civiltà, ce ne sono anche di ugualmente importanti in cui la supera senza sforzo apparentemente; e che queste sono le ragioni per le quali l’e-reader finirà per sostituire il libro cartaceo.

3.
L’ho sperimentato personalmente di recente, quando ho ricevuto copia del colossale romanzo d’esordio di Adam Levin, The Instructions, che ho incautamente accettato di recensire per un giornale. Un affare da oltre mille pagine che, nell’edizione in brossura, è notevolmente più grande e pesante di qualsiasi altro volume in mio possesso (incluso un Norton Complete Shakespeare che, fino all’arrivo di The Instructions, troneggiava sulla sua mensolina come un Colosso e la governava con pugno di ferro). Per dare un’idea dell’imponenza fisica del romanzo di Levin, concedetemi un’ammissione alquanto bizzarra: la scorsa settimana, in un momento di stravaganza, ho scoperto che è possibile inserire nel generoso spazio tra la costa del libro e la rilegatura interna non una ma due armoniche a bocca di dimensioni standard, che avevo per caso sulla scrivania mentre leggevo. Qualunque oscuro beneficio possa derivare dalla capacità di celare due strumenti a fiato all’interno della rilegatura di un libro, un oggetto di quelle dimensioni sarà un problema da portare in giro (con o senza armoniche a bocca). E se state leggendo un romanzo da 1.030 pagine e avete una scadenza da rispettare, dovrete affrontare un problema pratico piuttosto spinoso: per leggere il libro, avrete bisogno di portarlo con voi quando uscite di casa, ma andarsene in giro con un oggetto del genere su un treno o un autobus non è certo uno scherzo, viste dimensioni e peso vagamente paragonabili a quelle del minibar di una camera d’albergo.
L’ovvio passo successivo, quindi, è stato andare a vedere se potessi scaricare The Instructions dal Kindle Store. Quando ho riscontrato che la versione e-book non era ancora disponibile, per un momento sono stato preso dalla più moderna (e stupida) delle irritazioni: quella che deriva dal vedersi negata una comodità che, fino all’altro ieri, non era nemmeno concepibile. Certo, il romanzo di Levin è un esempio estremo, ma mi ha fatto riflettere sulle forze inarrestabili contro le quali il libro come oggetto, come manufatto culturale, deve schierarsi. La storia di ciò che definiamo progresso è un catalogo di casi in cui il desiderio di comodità ha prevalso praticamente su qualsiasi altra considerazione. Come ho già detto (e forse anzi ripetuto più e più volte in modo sospetto), amo i libri, e preferirei evitare di vivere in un mondo dove finiscano per rappresentare poco più di un’affettazione da designer di interni o, come i dischi in vinile, oggetti feticcio per una piccola ma devota consorteria di cultori dell’analogico. Gli e-book non sono perfetti, e l’esperienza di lettura che offrono, secondo me, resta inferiore a quella di un libro vero; al punto che probabilmente, a parità di condizioni, sceglierei quasi sempre quest’ultimo. Anche il CD, come qualsiasi audiofilo sarà ben lieto di farvi sapere, è decisamente superiore all’MP3 in termini di fedeltà e qualità del suono: eppure quand’è l’ultima volta che avete comprato un CD? Che qualcuno che conoscete ha comprato un CD? Perfino mio padre usa iTunes per procurarsi la musica che desidera. Continuo a possedere una piccola libreria piena di CD, ma da anni non ne compro altri e, visto che non possiedo più un lettore, fondamentalmente se ne stanno lì a ricordarmi di un passato in rapida fase calante, in cui alla musica registrata corrispondeva una controparte fisica.
Non importa quanto lo desideri: non riesco a immaginare un possibile futuro in cui i libri di carta e inchiostro in qualche modo non subiranno la stessa sorte. Il desiderio insaziabile di forme sempre più nuove e numerose di comodità, che traina la nostra economia globale e la nostra cultura tecnologica, lascia dietro di sè una traccia confusa di obsolescenza. Per quanto non voglia che le mie librerie ne diventino parte, posso già vedere segni premonitori di come il mio stesso desiderio di comodità (avere subito quello che voglio, evitare di aver a che fare con gli oggetti in tutta la loro ingombrante fisicità) inizia a sorpassare l’amore per il libro come oggetto fisico. Non voglio che la mia identità di consumatore, implacabilmente alla ricerca dell’alternativa più semplice e conveniente, abbia la meglio sulla mia identità di amante del libro. Non aspetto con ansia un futuro in cui il mio Kindle (o qualunque altro dispositivo che inevitabilmente lo sostituirà) sarà l’unico libro presente nella mia libreria. Ma è un futuro che, ne sono abbastanza convinto, ci aspetta al varco e alla cui realizzazione, come consumatore, sto contribuendo. Ci sono momenti in cui vorrei poter seguire la via del bibliotecario in pensione di Borges: seppellire il mio libro di sabbia su un’oscura mensola nel seminterrato di una biblioteca, e dimenticarmene. Ma poi mi rendo conto che è un aggeggio troppo utile, uno strumento troppo oscenamente comodo per non adottarlo. E quindi mi dico che in ogni caso non è possibile ignorare il progresso tecnologico, e che la storia è piena di esempi di belle cose soppiantate da versioni più efficienti delle medesime. In ultima analisi, non riuscirete a controbattere in nessun modo l’argomento della comodità: non importa quanto amiate quella cosa anacronistica, pesante, ingombrante e stupenda che vorreste salvare.




(Grazie a: http://www.minimoblog.it/2011/09/06/lettore-e-consumatore/)

Non vi chiedo cosa pensate a proposito di questo articolo: ne abbiamo ampiamente discusso sia qui che nel gruppo... ovviamente nuovi pareri saranno sempre bene accetti, ma a volte anche semplicemente leggere punti di vista diversi dal nostro può aiutarci a mettere le cose in prospettiva.
Io sono una (feroce) sostenitrice del kindle, ciò non toglie che amo i libri cartacei (la mia rubrica Shopping e altri rimedi, che è oggettivamente la più aggiornata del blog, conferma quanto sto dicendo), ed è per questo motivo che sono fiduciosa: credo che carta ed e-book possano e debbano coesistere. D'altronde le librerie sono sempre più piene -complice la crisi e il conseguente bisogno di evadere delle persone?. Detto ciò, non credo che l'e-reader sia un concorrente poi così sleale se confrontato con le care, vecchie, affezionate parole di carta. 

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